Avete presente quando vi capita di trovare tempo a disposizione non precedentemente programmato?
Non quello che sapevate già di avere, che avete ritagliato chirurgicamente nella vostra agenda, sapientemente programmato e in parte già pregustato. Quello completamente imprevisto.
C’è un blocco dei computer e vi fanno uscire un’ora prima dall’ufficio. Andate a prendere i bambini a scuola e vi dicono che sono invitati a casa di un amico. Tutti quanti. Avete un appuntamento preso da tempo e quando arrivate hanno sbagliato orario e vi riceveranno dopo un’ora.
In questo tempo a disposizione completamente inaspettato, quasi regalato, riuscite a stare con l’ebrezza della libertà?
Riuscite a concedervi una pausa di dolce far niente, propria quella che spesso avete sognato ad occhi aperti? Avreste il coraggio di vederla scorrere e sprecarla con il profumo dell’aria, una bibita fresca o una lenta e consapevole passeggiata senza meta? (Flaner con l’accento ^ sulla a, direbbero i francesi…)
Io purtroppo no!
Sono capace mio malgrado di infilarci di tutto. E di arrivare tardi all’appuntamento successivo.
Se ripenso all’ultima volta che qualcuno è venuto a prendermi annunciando mezz’ora di ritardo sorrido ancora adesso pensando a quante cose sono riuscita a fare: altri 5 minuti e avrei dato una mano di bianco ad un paio di pareti!
E’ cristallino e universalmente riconosciuto che la giornate scorrono veloci dense di oneri, responsabilità, obblighi e doveri.
E’ altrettanto possibile però fare esperienza di quanto una settimana di influenza non corrisponda quasi mai ad una catastrofe naturale che coinvolge la famiglia, i colleghi e il vicinato!
Da dove arriva allora questa abitudine a riempire tutti i vuoti con compiti da svolgere? Sono veramente troppe le responsabilità che abbiamo sulle nostre spalle e che non possiamo rimandare? Perché risulta sempre più difficile mettersi in pausa? Se veramente ci fermassimo, cosa succederebbe?
C’è chi riempie la giornata di lavoro e resta in ufficio anche dopo l’orario stabilito. Chi non riesce ad uscire di casa se non ha lucidato anche le maniglie delle porte.
C’è chi non riesce proprio a stare nelle emozioni ed ogni volta che ne avverte una più intensa delle altre, mangia. Tantissimo.
Fino a quando la sensazione fisica supera la difficoltà emotiva.
Riempire il tempo. Riempire lo stomaco. Riempire un vuoto.
Non serve inondare l’istinto di cibo per placare la paura, la rabbia o la solitudine.
Potrebbe essere utile avere una piccola fata personale che non ci aiuta solo ad attraversare la strada leggendo i messaggi sul telefono ma che ci ricordi che le emozioni, anche quelle fastidiose e dolorose, poi passano. Come le nuvole nel cielo. Come le onde del mare: crescono, cresCONO, CRESCONO… poi diminuiscono e scompaiono.
Se facciamo di tutto per evitarle invece restano sempre con noi e non ci consentono di scegliere quello che può farci stare bene. E ci teniamo il solco dell’emozione passata e il rimorso per il comportamento disfunzionale che abbiamo messo in atto nel tentativo di sopprimerla. Come nella storia delle due frecce.
Non la conoscete?
Eccola!
LE DUE FRECCE
In quel tempo il Buddha, che dimorava presso Savatthi, si rivolse ai discepoli con queste parole:
“L’incolto uomo comune sperimenta la sensazione piacevole e quella dolorosa. E anche il nobile discepolo sperimenta la sensazione piacevole e quella dolorosa. E allora qual è la differenza, qual è la distinzione, la dissomiglianza fra il nobile discepolo e l’incolto uomo comune? L’incolto uomo comune, colpito da una sensazione dolorosa, si affligge, si cruccia, si lamenta percotendosi il petto, geme, si avvilisce. Egli sperimenta due sensazioni: una corporea e l’altra mentale. E’ come se ferissero un uomo con una freccia e poi lo ferissero con una seconda freccia; certamente quell’uomo sperimenterebbe lo sensazione dolorosa di due frecce. Similmente l’incolto uomo comune, colpito da una sensazione dolorosa, sperimenta due sensazioni: corporea e mentale; colpito da una sensazione dolorosa egli manifesta repulsione e cede a questa repulsione della sensazione dolorosa. Il nobile discepolo invece, colpito da una sensazione dolorosa, non si affligge; egli sperimenta una sola sensazione dolorosa: quella corporea, ma non quella mentale. Questa è la differenza, questa è la distinzione questa è la dissomiglianza fra il nobile discepolo e l’incolto uomo comune.”
(Samyutta Nikaya)
Fermarsi, stare, concedersi, aspettare, pazientare, godere, assaporare, sentire.
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